Igor Sibaldi: L’altra faccia di Agape

Non si può parlare di sessualità senza partire da una riflessione sulla parola agape e sulla sua origine. In greco significava: il voler tanto bene a qualcuno, ma senza desiderio sessuale. È un sentimento forte, totalmente aperto, che dà moltissimo e non chiede niente in cambio. E qui voglio raccontarvi un episodio sull’agape, molto interessante: riguarda proprio la precisazione del suo significato, e si trova nel Vangelo di Giovanni, ma pochi lo sanno.

Verso il finale, nel capitolo 21, Gesù risorto ricompare ai discepoli: qualche discepolo era già scappato, dopo lo shock del processo e della crocifissione, ma ce n’erano ancora sette o otto che andavano in giro insieme. Gesù, dunque, compare mentre sono sulla riva di un lago; fa fare ai discepoli una pesca miracolosa; mangiano tutti insieme; dopodiché si rivolge a Simon Pietro: «A proposito, Simone, ci sarebbe un problemino…» Pietro stava facendo finta di niente, ma naturalmente se l’aspettava: Pietro, come sapete, quando durante il processo aveva visto che le cose si mettevano male per Gesù, aveva detto di non conoscerlo. Qualcuno gli aveva chiesto: «Ma tu non eri uno che andava con quello lì?» E Pietro aveva detto: «Io? No… No no, figurarsi; non lo conosco nemmeno». Per tre volte.

Adesso Gesù gli dice: «Pietro, senti un po’…», e Pietro fa un’aria mogia, perché sa che adesso gli tocca. Il brano era tradotto molto male nell’edizione della Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana, fino al 2008. Poi, per fortuna, l’hanno corretto un pochino; si vede che il precedente papa [Benedetto XVI] conosce il greco. Prima era tradotto così: «Pietro, mi ami tu più di loro?» dice Gesù. Pietro gli dice: «Signore, lo sai che ti amo». …E in questa risposta, a guardar bene, ci sarebbe già qualcosa che non va: Shakespeare mise le stesse parole sulle labbra di Iago; quando Otello, lì per lì per impazzire di gelosia e di angoscia, chiede a Iago: «Iago, almeno tu… Do you love me?», in risposta Iago gli dice: «My lord, you know that I love you!», ovvero tu sai che ti amo – è una cosa che sai tu, sono fatti tuoi, io non dico niente. Pietro, nelle vecchia traduzione, risponde proprio allo stesso modo, ma Gesù sembra non farci caso e dice: «Va be’, pasci le mie pecorelle». Poi gli domanda di nuovo: «Pietro, mi ami tu più di loro?». Pietro risponde: «Signore, lo sai che ti amo». E due. Gesù dice «Pasci i miei agnelli». Poi Gesù dice per la terza volta: «Pietro, ma tu mi ami?». Il lettore potrebbe pensare che essendo stato appena crocifisso, e poi risorto, Gesù magari sia ancora un po’ frastornato, e non capisca ancora bene le cose; anche Pietro sembra pensare così, e dice per la terza volta: «Signore, tu sai tutto, lo sai che ti amo». Ma a quel punto, stranamente, Gesù gli fa una scenata, e gli dice: «Allora vedrai cosa ti succederà! Quando sarai vecchio gli altri ti metteranno addosso i vestiti che vogliono loro e ti porteranno dove vogliono loro!». Al che il lettore di questa traduzione non ci capisce più niente.

Sapete invece com’è nel testo originale di Giovanni, scritto in greco? Gesù dice: «Pietro, agapàs me?», cioè: tu mi vuoi un gran bene, hai agape per me? Pietro risponde: «Signore, tu lo sai che io filò se» Usa il verbo filein, cioè: «provare un senso di amicizia». In pratica, dice: no, io non sono capace di agape, non ci arrivo, mi spiace, io al massimo provo dell’amicizia per te. E Gesù commenta: «Allora puoi solo fare il pretino, pascolare le pecorelle. Pietro, senti, pensaci bene. Sei sicuro che tu non agapàs me?». Pietro dice: «Eh be’ sì, Signore, io filò se, e basta». È una scena sempre più drammatica: Pietro è un uomo costretto a guardare dentro di sé, sta capendo i suoi sentimenti e si accorge di non essere capace di agape. Non ce la fa. E badate che tanti di noi non ne sono capaci. In particolare, tantissimi maschi, in questo periodo, perché non sono liberi: sono degli obbedienti, servi o capi di qualcuno, e se una persona serve o comanda, non può più provare agape, perché è troppo attaccato al vantaggio personale, ha paura, e deve stare in guardia dai sentimenti forti, com’è appunto l’agape.
E Gesù per la terza volta chiede: «Ma allora, Pietro, tu fileis me, soltanto?». E Pietro sgomento risponde: «Sì, tu sai tutto, io sono capace solamente di filein!». Gesù gli dice: «Bada che di questo passo farai una brutta fine, tu! Vorrai fare il capo, e finirai per fare il servo». Come sapete, già ai tempi in cui venne scritto il Vangelo di Giovanni, Pietro era il simbolo della Chiesa di Roma, della cosiddetta Grande Chiesa: e dunque il Vangelo di Giovanni era un libro un po’ più scomodo di quel che solitamente si pensa.

Agape nelle antiche scritture

Come tradurre la parola agape in italiano? Tradurre agape con «voler bene» è un po’ riduttivo. Anche un amico vuol bene all’amico. E «volere tanto ma tanto bene» è troppo vago. Allora diciamo: amore? Mah. La parola amore, in italiano, non è gran che. Non per niente causa un sacco di problemi alla gente. Determina ossessioni, anche questa, perché non è per niente chiara. (…)

Alla ricerca del significato nascosto

Ora, lasciate perdere la stramba idea che amore voglia di dire «non-morte». Era un gioco di parole dei trovatori provenzali, basato sull’idea che in greco la a iniziale a volte è privativa, cioè equivale a un «non»; ma è una falsa etimologia, come lo sarebbe il dire che «occhiali» è occhi-a-lì, e significhi «una direzione dello sguardo»; o che in politica «un partito» indichi uno che è partito per andare da qualche parte o che derivi da parti-to’!, e voglia dire «fare un gesto scurrile nei confronti di altre parti».

Lasciamo stare e guardiamola bene, questa parola amore.

Differenza tra amare e voler bene

Più la guardiamo, e più ci accorgiamo che qualcosa qui non va. Non per nulla, nei dialetti non c’è – e i dialetti sono linguaggi sempre onesti, vividi, limpidi. Anche in un dialetto passionale come il napoletano, c’è t’aggio voluta bbene, ma non c’è io te amm’. Se uno a Napoli ti dice io te amm’, sta scherzando o parla con una straniera. In milanese, mi te ami fa ridere. È evidente che della parola amore i dialetti non si fidano, sentono che c’è qualcosa di poco chiaro, è opaca, e perciò infida.

O forse per voi è chiarissima? Valutate voi stessi: sapete qual è la differenza tra amare e voler bene? È una domanda che avevo incominciato a fare due o tre anni fa alle conferenze, e non c’era nessuno che sapesse rispondere. A me piaceva che si accorgessero di non saper rispondere, dopo che avevano usato per tutta la vita le parole «amare» e «voler bene». Una volta, a Treviso, una signora ha alzato la mano e ha detto: «Io la so la differenza! Voler bene… è voler bene. Invece, amare è quando vuoi bene e ti aspetti qualcosa in cambio». È buffo, lo so; hanno riso tutti. Ma non è del tutto sbagliato.

L’origine di amore è la parola sanscrita kama: proprio la stessa del kama-sutra. Per una legge linguistica, avviene spesso che parole sanscrite con la «k» iniziale ricompaiano in lingue europee senza quella «k»: così il sanscrito karma (sapete tutti cos’è), in latino diventa harmonia, e poi armonia in italiano. E kama significa: un desiderio sessuale intenso ed esclusivo, cioè qualcosa di molto simile al nostro concetto di eros. Dunque, quando tu usi in italiano la parola amore, stai intendendo propriamente quel tipo di desiderio: stai parlando di quello, al tuo genio della lampada di Aladino. Letteralmente, io ti amo in italiano significa: Io desidero avere rapporti sessuali con te e pretendo che tu non ne abbia con nessun altro. E anche in latino amor indica una veemenza, una pulsione erotica – il che fa suonare un po’ insensata molta metafisica dell’amore. Pensate infatti a cosa significa, alla lettera, l’espressione «amore universale». Praticamente è: «io scopo tutto». Oppure «ama il prossimo tuo»! In latino non si diceva affatto ama proximum tuum, che sarebbe risultato scurrile, come a dire: «fatti il primo che passa»; bensì dilige proximum tuum, e diligere era l’equivalente latino di agapan. (…)

Tratto dal libro”Eros e Agape” di Igor Sibaldi

Vi ricordo che Igor Sibaldi approfondirà questo tema nel suo prossimo seminario del 23 Marzo 2014. Maggiori informazioni QUI!

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