Wayne Dyer: Preghiera e Fiducia

Per quanto concerne il pregare, sembra che, spesso, concepiamo Dio come un gigantesco distributore automatico presente nel cielo che esaudirà i nostri desideri se inseriamo in lui gli appositi gettoni sotto forma di preghiere. Inseriamo le preghiere, poi premiamo il pulsante e speriamo che Dio ci elargisca la merce richiesta. Il Dio-distributore automatico diventa l’oggetto della nostra venerazione. Diciamo alla macchina quanto è buona e fino a che punto le tributiamo il nostro culto e poi ci aspettiamo che, in cambio sia buona con noi.

La premessa fondamentale, in questo caso, è che Dio è al di fuori di noi: ne consegue che anche ciò che desideriamo e di cui abbiamo bisogno è al di fuori di noi. Così considerata, la preghiera è dunque più simile alla pratica dell’assenza che non alla presenza di Dio. Se crediamo di essere separati da Dio, l’approccio alla preghiera secondo la modalità del distributore automatico rafforza e rende più profonda quella convinzione.

Preferisco considerare la preghiera, nella sua essenza, come una forma di comunione con Dio. Pregare a livello spirituale diventa comunione con Dio e consapevolezza che Dio è tanto vicino a noi quanto il nostro respiro. Nella preghiera, cerchiamo l’esperienza della co-esistenza con Dio. Pregare è il nostro modo di comunicare che siamo pronti, e desideriamo che questa sacra energia si manifesti attraverso la nostra forma umana.

Nessuna separazione, nessuna assenza, semplicemente la presenza di questa forza in noi stessi. La vera esperienza di Dio, dunque, non cambia né altera Dio, ma cambia noi. Lenisce la nostra impressione di essere separati. Se invece la preghiera non ci cambia, vuol dire che abbiamo negato a noi stessi la possibilità di conoscere la saggezza che ci ha creato.

La ricerca della felicità al di fuori di noi riaccende nel nostro intimo l’idea che non siamo interi e relega la preghiera allo stato di lamentela rivolta a un capo/Dio. Invece di cercare una manifestazione del nostro sé invisibile e illuminato, chiediamo favori.

La preghiera, al livello spirituale di cui sto scrivendo, non consiste nel chiedere qualcosa, così come il tentativo di diventare capaci di manifestare la propria spiritualità non consiste nel chiedere che qualcosa arrivi nella vostra vita. La preghiera autentica consiste nell’invitare il desiderio divino a esprimersi attraverso di me. È una preghiera per ciò che si conforma al mio più alto scopo e al mio massimo bene, o per il massimo beneficio di tutta l’umanità. A questo livello, pregando, esprimo la mia esperienza di essere una cosa sola con l’energia divina.[…]

La mia pratica personale della preghiera consiste nel partecipare a una comunione con Dio in cui vedo Dio dentro di me e chiedo la forza e la consapevolezza interiore per affrontare qualsiasi cosa mi capiti. So di non essere separato da questa forza vitale che chiamiamo Dio. So che questa forza mi lega a ogni cosa nell’universo e che, dirigendo la mia attenzione su ciò che voglio attirare, in realtà mi limito a manifestare un nuovo aspetto di me stesso. Poi mi disinteresso dei risultati e lascio i particolari all’universo. Mi ritiro in pace e continuo a ricordare a me stesso che il cielo sulla terra è una scelta che devo fare, non un luogo da trovare.

È una mia scelta quella di vivere con la forza di Dio che scorre senza limitazioni attraverso di me, ed è il modo per co-creare la mia vita in questo momento. La fiducia, quindi, è la pietra angolare della mia preghiera, e con essa subentra la pace che è l’essenza del manifestare il proprio destino.

Tratto dal libro Inventarsi la vita di Wayne Dyer

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